Intervista al Professore Pier Giuseppe Pelicci

Prof. Pier Giuseppe PelicciIl Professore Pier Giuseppe Pelicci, Co-direttore scientifico IEO e Direttore Scientifico Dipartimento di Oncologia Sperimentale IEO di Milano, è nato il 5 settembre 1956 a Semonte di Gubbio da Elda Matteucci e Flavio Pelicci. Laureatosi in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli studi di Perugia nel 1981, si è specializzato in Biologia Molecolare presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Perugia. Dal 1981 al 1982 ha migliorato la sua preparazione in Francia e poi a New York fino al 1986. Dal 1986 al 1995 è stato direttore del Laboratorio di Biologia Molecolare dell’Istituto di Clinica Medica presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Perugia. Dal 1996 è direttore del Dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia a Milano.

I suoi studi vertono essenzialmente sulla genesi delle leucemie e sulla traduzione dei segnali provenienti dal DNA. Il professor Pelicci spicca nelle cronache nazionali e internazionali per la scoperta del “gene” p66shc che prolunga la vita.

I ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, diretti dal prof. Pelicci  (in collaborazione con l’Università di Perugia e con lo Sloan Kattering Cancer Center di New York), hanno dimostrato l’esistenza del gene in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Nature”. Tale studio getta nuova luce sui processi degenerativi quali l’invecchiamento o il cancro e fa intravedere la possibilità di migliorare la qualità della vita senile, se non addirittura allungare l’esistenza umana.

Alla scoperta del gene P66, forse responsabile dell’invecchiamento, anche nella specie umana, si è giunti, come spesso succede in medicina, quasi per caso. Infatti l’equipe diretta dal professor Pelicci, durante una ricerca sul cancro che indagava su un gene che ha a che fare con la proliferazione cellulare, si è resa conto che questo gene, o meglio la sua assenza, fa vivere le cellule più a lungo. L’Aucc ha posto alcuni quesiti al professor Pier Giuseppe Pelicci con l’obiettivo di fare il punto sulla situazione attuale della Ricerca Scientifica.

A che punto siamo con la Ricerca in campo oncologico?

Il sequenziamento del genoma (avvenuto nel 2001) e dell’epigenoma (iniziato nel 2011) umano hanno aperto una nuova era della biomedicina che, a parere unanime, porterà a una rivoluzione epocale nella comprensione delle malattie umane e, conseguentemente, nella capacità di prevenirle e trattarle. L’elemento fondante è rappresentato dalla possibilità di decifrare le malattie sulla base di meccanismi causali genetici (analisi genomica) e ambientali (analisi epigenomica).

analisi-genomicaLa genomica fornisce quindi alla Medicina nuovi strumenti per la quantificazione del rischio genetico e ambientale di malattia. La disponibilità di strumenti di analisi quantitativa consente di trasferire la valutazione del rischio di malattia dalla popolazione all’individuo e la scelta del trattamento dalla malattia al malato (Medicina Personalizzata). Questi nuovi approcci stanno cambiando l’oncologia, sia per quanto riguarda la prevenzione che la cura dei tumori.

Il tumore, infatti, è una malattia che parte dai geni, nel senso che all’origine c’è un’alterazione, una modificazione di alcuni geni – spesso si tratta di decine di geni – che ha come risultato la produzione di proteine alterate, diverse da quelle normali presenti nelle cellule non-tumorali. Se identifichiamo i geni “danneggiati” di un tumore, e tra loro quelli che ne sono la causa, possiamo trovare una molecola (cosidetto farmaco molecolare) che li inibisca, eliminando quindi il tumore senza danneggiare i tessuti normali. I farmaci molecolari vanno quindi a colpire quei geni e proteine alterate allo scopo di distruggere la cellula cancerosa, senza interferire con le altre. I farmaci molecolari hanno cambiato la storia naturale di molti tumori.

Prendiamo come esempio i tumori del sangue, che sono stati da sempre un laboratorio d’innovazione per tutta l’oncologia. È nei tumori del sangue che sono stati sperimentati il primo trattamento di chemioterapia (1950), la prima polichemioterapia (1960), il primo trapianto di midollo (1970), i primi “farmaci molecolari” (fine anni 90). Con risultati clinici straordinari. Leucemie, linfomi e mielomi erano malattie invariabilmente fatali. A distanza di 50 anni, la maggior parte dei pazienti ha una sopravvivenza superiore a 5 anni e molti guariscono. Chemioterapia e farmaci molecolari sono usati anche per altri tipi di tumore, con risultati incoraggianti.

Qual è l’impatto della Ricerca di Base nelle cure mediche?

La ricerca fondamentale è alla base di qualsiasi avanzamento della medicina. E lo sarà in maniera sempre più diretta. La nuova medicina, infatti, è basata sulla conoscenza dei meccanismi di malattia, e quindi dipende continuamente dalla ricerca. Prendiamo per esempio la prevenzione. Sappiamo che esistono alcuni geni che predispongono ad ammalarsi di tumore. Due esempi: se una persona eredita da uno dei due genitori il gene MSH, avrà l’80% di probabilità di ammalarsi di tumore dell’intestino nel corso della propria vita; se una donna eredita il gene BRCA, avrà una probabilità di ammalarsi di tumore del seno del 90%. Quindi due diversi geni che predispongono a due diversi tipi di tumore. Ad oggi conosciamo 120 di questi geni, che, insieme, sono responsabili di non più del 10% di tutti i tumori. Ma quanti altri ne esistono? Abbiamo impiegato 50 anni ad identificarne 120, studiandone uno alla volta, tra i 25.000 che compongono il nostro DNA.

Da pochi anni è cambiato però radicalmente il modo con cui li cerchiamo. Oggi, infatti, possiamo studiare i 25.000 geni del DNA di ciascuna persona tutti contemporaneamente, in pochi giorni e a bassi costi: la cosidetta genomica. Solo nel 2013 ne sono stati scoperti 50.

GeneÈ possibile quindi che di geni che predispongono ai tumori ne esistano molte centinaia e che quindi per la maggior parte delle persone diventi possibile conoscere il rischio di ammalarsi di tumore sin dalla nascita. Ma la ricerca sta esplorando strade completamente nuove. Se la probabilità di ammalarsi di tumore è scritta nel nostro DNA, la domanda diventa: siamo schiavi del nostro DNA o siamo liberi di cambiare il nostro destino? Immaginiamo i geni del nostro DNA come contenitori di informazioni: 1 gene – 1 informazione. Quando un gene si attiva, l’informazione diventa una istruzione specifica per le cellule. Queste istruzioni, però, non sono leggi indiscutibili, esse sono profondamente modificabili dall’ambiente in cui viviamo: l’ambiente esterno (l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo), l’ambiente che vive dentro di noi (per esempio i batteri che colonizzano il nostro apparato digerente o respiratorio), oppure il cibo che mangiamo. Quindi l’ambiente modifica il nostro DNA, anche in maniera duratura. Fino a qualche anno fa non sapevamo come l’ambiente modificasse il DNA, una conoscenza questa indispensabile per modificare l’ambiente a nostro vantaggio. Da poco abbiamo scoperto che l’ambiente agisce su un involucro del DNA, che si chiama epigenoma. E abbiamo imparato a misurare gli effetti dell’ambiente sull’epigenoma (la cosidetta epigenomica). In linea di principio, quindi, possiamo cambiare il nostro genoma cambiando l’epigenoma. È partito un progetto mondiale per la sequenza dell’epigenoma (come 10 anni fa per il genoma). La prospettiva, che sta in parte già avvenendo, è di poter modificare l’epigenoma in due modi: agendo sull’ambiente, per esempio scegliendo cibi appropriati o modificando il tipo di batteri che ci popolano, oppure producendo farmaci in grado di modificare l’epigenoma.

Qual è il futuro del cancro?

I Farmaci Molecolari sono molto efficaci, hanno infatti aumentato significativamente la curabilità di molti tipi di tumore. Ma sono efficaci solo in quei tumori per i quali sono stati disegnati, perché ogni tipo di tumore, sfortunatamente, ha il suo gene alterato e quindi ha bisogno del suo particolare Farmaco Molecolare (cosiddette cure personalizzate). I farmaci molecolari contro il cancro sono meno di 50, curano non più del 10% di tutti i malati di tumore, e sono spesso usati insieme alla chemioterapia o alla radioterapia. Oggi le domande che si pongono gli scienziati sono molto ambiziose: possiamo puntare alla guarigione di tutti i pazienti, anche in quelle forme che purtroppo sono ancora poco sensibili alle attuali terapie? È possibile ottenere la guarigione senza chemioterapia ?

Anche se ambiziose, queste domande non sono fuori luogo. Un esempio: la Leucemia Acuta Promielocitica, una rara forma di leucemia mieloide. Tre tappe fondamentali:

1) 1973, il 20% dei pazienti guarisce grazie all’introduzione della chemioterapia;

2) 1993, il 90% dei pazienti guarisce grazie al primo farmaco molecolare (l’acido retinoico) in combinazione con la chemioterapia;

3) 2013, il 95% dei pazienti guarisce grazie all’acido retinoico in combinazione con un altro farmaco molecolare, l’arsenato, senza chemioterapia.

RicercatriceTutte ricerche italiane, per inciso. Qual è stato il segreto del successo? Nessun segreto. Gli scienziati hanno prima compreso quali fossero le cause della Leucemia Promielocitica (quali geni e quali proteine alterate) e poi hanno disegnato farmaci contro quelle proteine anomale (i farmaci molecolari). Perché non abbiamo una terapia curativa (magari senza chemioterapia) per tutti gli altri tumori del sangue? In realtà per alcuni l’abbiamo (la leucemia mieloide cronica, o alcuni tipi di linfoma), ma non per tutti.

Ogni tumore è una storia a sé. Ha le sue alterazioni genomiche e ha bisogno dei suoi farmaci. È una questione di tempo, il tempo necessario per cercare le combinazioni giuste. Ma non dobbiamo aspettare sessanta anni anche per ciascuno degli altri tumori del sangue, perché ora conosciamo la strada da percorrere. C’è bisogno, piuttosto, di una vera e propria task force, condivisa da tutti gli scienziati, per percorrere questa strada il più efficacemente e rapidamente possibile. La comunità scientifica si interroga sulle priorità della ricerca, quali la Genomica (come estendere l’analisi del genoma a tutti i pazienti, come meglio interpretare i dati per scegliere i farmaci giusti, come orientare la ricerca di nuovi farmaci), l’Epigenomica (come integrare genomica ed epigenomica, come identificare nuovi farmaci epigenomici), le nuove Terapie Immunologiche (quali anticorpi costruire, come armare i nostri linfociti contro i tumori), le Cellule Staminali (come coltivarle, come usarle nei trapianti). E quali siano le tecnologie più idonee o le infrastrutture che dobbiamo costruire per accelerare questo processo. Una vera e propria agenda per rendere prioritaria la ricerca, nella quale possano convergere scienziati, medici, agenzie, industria, politica e i pazienti stessi.

Qual è il valore aggiunto che può apportare alla Ricerca Scientifica un’organizzazione come quella dell’Aucc onlus?

Come accennato sopra, la storia naturale di alcuni tumori è profondamente cambiata negli ultimi anni grazie alle conoscenze biologico/molecolari acquisite e alla conseguente capacità di sviluppare terapie innovative. Ma la ricerca oncologica in Italia ha un continuo bisogno di fondi, i suoi processi richiedono infatti ricercatori qualificati, reagenti ed apparati costosi e complessi. Essa si avvale inoltre dell’esperienza acquisita nell’esercizio quotidiano della clinica oncologica. La pratica clinica ha però anch’essa necessità di un continuo supporto economico per sostenere l’uso di apparecchiature diagnostiche sofisticate, sia di laboratorio (si pensi agli screening genomici) che diagnostiche cliniche (si pensi all’imaging diagnostica).

L’impegno nella prevenzione dei tumori attraverso informazione e formazione, e la promozione di tecniche e metodi di trattamento dell’individuo nel suo insieme, sono oggi nostre priorità, assieme al sostegno del paziente e dei suoi familiari, sia durante il ricovero nei nostri ospedali che successivamente, al fine di promuovere la loro partecipazione al processo di cura e difenderne la qualità della vita.

Aucc onlusL’AUCC ci aiuta in tutti questi diversi aspetti, finanziando la ricerca scientifica sul cancro, offrendo assistenza gratuita alle persone colpite da tumore e alle loro famiglie, e promuovendo informazione e prevenzione. Quindi l’impatto dell’attività dell’AUCC è immenso, sia a livello di ricerca/sanitario che a livello individuale, e contribuisce a coprire un grande fabbisogno sia pratico che culturale in Italia.

Il ruolo dell’AUCC, come di altre onlus con simili obiettivi, è anche importantissimo perché favorisce il coinvolgimento del paziente nella gestione della sua malattia: la Medicina sta infatti vivendo una rivoluzione che sta progressivamente cambiando il modo in cui il paziente gestirà il proprio stato di salute, sia in termini di prevenzione che di cura delle malattie; ma anche il modo in cui la società garantirà la salute ai suoi cittadini.

Immaginiamo un futuro ove ogni cittadino avrà la possibilità di conoscere il proprio rischio di malattia e di compiere quindi delle scelte informate per preservare la propria salute.

Questo futuro potrà realizzarsi attraverso due possibili scenari. Nel primo, il cittadino acquisirà consapevolezza e diventerà il motore di una serie di scelte che lo porteranno a modificare i propri comportamenti e, più in generale, i comportamenti della società. Cioè la consapevolezza si trasformerà, nella sostanza, in partecipazione attiva.

Nel secondo, il cittadino diventerà un consumatore di test e di rimedi. Qui le scelte sono verosimilmente di chi produce i test o i rimedi e la consapevolezza si trasformerà in partecipazione passiva. Purtroppo si vedono già i primi segni di questo secondo scenario, con compagnie in Europa che vendono test genetici direttamente ai cittadini.

Fortunatamente associazioni come AUCC sono (e continueranno ad essere) in prima fila nell’empowerment del paziente e della società tutta attraverso la forza della conoscenza ma non dovrebbero essere lasciate sole.