Testimonianze preziose
Ci dispiace non avere avuto il tempo necessario per poter riprogrammare appuntamenti – fa sapere la dottoressa Leda Carciofi, psicoterapeuta dell’Associazione Umbra per la lotta Contro il Cancro. È successo tutto in fretta, in modo repentino e improvviso. Così, ci siamo trovate a ricontattare telefonicamente i vari pazienti. Non tutti hanno accettato le nuove modalità: parlare attraverso uno strumento e non “vis a vis” non è piaciuto a tutti, sia per un discorso di privacy (spazi piccoli nell’ambiente domestico), sia per la poca confidenza con la tecnologia. E poi c’è il mancato contatto oculare. “Ascoltami, ascoltami con gli occhi”. Così diceva Agata, la mia nipotina, all’età di due anni, quando la si ascoltava mentre si era affaccendati in altre mansioni.
Ciò che riportiamo qui, io e la dottoressa Camilla Ramaccini, è l’esperienza, da noi tradotta, di un gruppo terapeutico, raccontata attraverso la voce di un singolo.
Un aspetto della malattia al tempo del Covid 19
Di Leda Carciofi e Camilla Ramaccini.
Sembrerà alquanto strano a chi legge, ma per quanto mi riguarda questa pandemia mi ha fatto sentire come tutti gli altri, non ero più costretta a stare in casa perché stavo male mentre gli altri se ne andavano in giro; ero solo io relegata a una vita diversa, la vita era, e ancora è, al momento diversamente uguale per tutti: dopo tanto tempo (o così mi sembra) ero tornata a parlare di argomenti comuni: Covid 19 e non più solo di parrucche, di nausea e…
Le giornate che oggi si definiscono tutte uguali: ci si alza la mattina e non si sa che giorno sia, io le ho già vissute; rispetto agli altri ci sono giunta ALLENATA, PREPARATA. Il godere di quelle che si chiamano “piccole cose”: svegliarsi la mattina, aprire le persiane, guardare il sole e il cielo come se fosse la prima volta. Io lo sapevo già fare, apprezzare, amare.
È da tempo che sono grata a questa vita, perché io è già da due anni che sono tornata a vivere.
Per me la pandemia è iniziata in un giorno per così dire normale, come tutti gli altri: “Signora, lei ha un cancro”.
Quel giorno per me è iniziata la “pandemia”, ma l’aspetto pandemico riguardava solo me e in parte la mia famiglia. Ora riguarda tutti.
Non dico questo perché, come si suol dire, “mal comune è mezzo gaudio” ma perché per la prima volta, dopo tanto tempo, ho potuto condividere sentimenti, emozioni, vissuti comuni a tutti. Ora sono una dei tanti: non sono la MALATA da guardare con occhio compassionevole.
Tutti oggi vivono un tempo sospeso, le sicurezze vacillano, il domani è incerto. L’angoscia della malattia e della morte è entrata prepotentemente nelle nostre case e fa da padrona. Il benessere che si pensava fosse un diritto acquisito non è più una certezza, i confini tra ciò che si sa e ciò che non si sa sono sbiaditi e labili.
Ma io tutto questo l’ho già vissuto. Io so che cos’è la resilienza e so anche che fa rima con pazienza.
La distanza dai miei figli, dai miei nipoti, certo che mi fa patire, ma non sono l’unica a vivere questi sentimenti e, come tutti, posso usufruire di quei mezzi tanto criticati, ma che ora sono salvifici. Come recitava una pubblicità “una telefonata ti allunga la vita” ed io, oltre al telefono, ho scoperto altri mezzi con cui mi collego col mondo e in particolare con il mio gruppo terapeutico, la cui attività, per motivi superiori, è stata repentinamente interrotta.
Ci ritroviamo ogni giovedì mattina: truccate, profumate e ben vestite, condividiamo i nostri sogni, i nostri pensieri e, perché no, anche le nostre cucine.
Lo slogan “lontani ma vicini” ci appartiene.
“Amiche per caso”, così ci siamo chiamate. Ebbene, sia benedetto il caso che ci ha fatto conoscere, o forse devo dire riconoscere. In un mondo fatto di apparenze e dell’essere i primi della classe, io e le mie “Amiche per caso” abbiamo scoperto la bellezza della solidarietà e della condivisione.
Eravamo già preparate a fare il Gioco dell’uva.
Che cos’è il Gioco dell’uva? È stare ognuno a casa sua. È uno dei giochi che mia madre mi faceva fare da piccola. Ma mentre con la malattia il Gioco dell’uva consisteva nello stare a casa mia, mentre fuori il mondo continuava la sua vita frenetica, oggi ognuno è nella propria casa, ed io mi sento e sono completamente adeguata.
Oggi ho aperto la finestra e mi sono accorta che le rondini sono tornate. “Una rondine non fa primavera”? Ma nel mio caso la speranza è un’amica cara e costante e con piacere assaporo la ricorsività del tempo e delle abitudini.
In fondo, se mentre stai tranquillamente passeggiando e ti sorprende la pioggia e non hai un riparo, puoi correre e rischiare di cadere, o fermarti e bagnarti ancor di più, o imparare a ballare al ritmo della pioggia. Io questo faccio e spero di continuare a farlo nel caso dovesse continuare a piovere, anche perché so che non ci saranno solo giornate di sole e non ci saranno giornate solo di pioggia.